25 anni di Italyan, rum casusu cykti: il disco che ci salvò il cervello. #pedriniracconta

Ci sono dischi che ti rivelano chi sei. Eri lì anche prima, ma loro ti trovano. Ci sono dischi che ti snodano robe ingarbugliate. Ci sono quelli che ti fanno sentire meno solo tipo “Ehi, sento quello che senti tu” o “E’ successo anche a me, tranquillo ragazzo, passa tutto”.
Poi ci sono dischi che fanno un lavoro più grosso ed estremo, più profondo, spesso irreversibile. Sono quelli che ti incanalano da una parte anziché da un’altra; che non ti rivelano chi sei, ma chi vuoi e puoi diventare. Che ti danno le istruzioni per assemblarti con i pezzi a disposizione. Pezzi alla rinfusa che hai dentro, molti dei quali dalla forgia e dalla funzione incomprensibili.
Le mie istruzioni per l’uso furono #ItalyanRumCasusuCikti, che ieri ha compiuto venticinque anni.
Avevo undici anni, cantautori che mi sfioravano dal giradischi di mia madre e un walkman giallo e blu del Mulino Bianco che utilizzavo esclusivamente per riascoltarmi in loop le cassette con le partite di Italia ’90 commentate dalla Gialappa’s (sapientemente registrate due anni prima) e quelle con l’audio de I promessi sposi del Trio. Insomma, già un po’ si intuiva qualcosa, ma musica: zero. Fino al ’92, qui nei meandri della campagna emiliana, #ElioeleStorieTese erano “amico hooligano coi capelli un po’ corti” (sigla dei primissimi Mai dire gol), la mucca che fa Mu e il merlo che non fa Me e quasi nient’altro.
Dalla radio che tenevamo sul bordo del lavandino iniziò a uscire sempre più spesso una canzone strana. Più che strana direi aliena. Diceva “cazzo”. Diceva “ghiandola mammaria”. Diceva “ettolitri di sburra”. Diceva cose che non capivo come “sfacimme”, “triangolino che ci esalta” e “popparuolo”. Diceva soprattutto “ho un gomito che fa contatto col piede”. E il tutto era – e fu questo lo scossone – all’interno di una canzone “vera”, plausibile, orecchiabile e con del tiro, del gran tiro.
Nella mia compagnia di piccoli casi umani di paese c’era un possessore della cassetta originale dalla quale clonammo decine di cassette pirata, fra cui la mia. Il mio walkman non conobbe altro per almeno due anni.
Ora io potrei far parlare il trentaseienne e dirvi che una band anche molto brava con le idee di quel disco ci avrebbe fatto quattordici carriere. Che seguendo le ramificazioni delle citazioni presenti ricomporreste quasi tutto lo scibile musicale. Potrei parlarvi delle loro doti tecniche e analizzare virtuosismi vari tra testi, controtempi folli, assoli illegali, linee di basso, cori e arrangiamenti. Potrei, ma credo sia più importante raccontare che quelle canzoni si impossessarono di noi, allora, portandoci a inscenare spesso le storie al loro interno. E quindi, negli infiniti pomeriggi estivi e pre autunnali, intorno al Circolo la Bocciofila di San Bartolomeo, era normalissimo trovare Giorgio e Piero che incrociavano i loro peni in segno di reciproca stima. Lady Marian rossa in volto che emetteva un peto dopo l’altro. Vitelli senza i piedi abusati da orsetti omosessuali. Ragazze che limonavano da sole. Ma anche dibattiti sul rapporto di lavoro tra Pork e Cindy. Sul perché lei avesse la figa spanata. Sul perché l’imene fosse brutto se lacerato. Su cosa diavolo fosse l’imene. Capitava di fermare le ragazzine di passaggio al bar e chiedere loro se potessimo suonare le loro trombe di Fallopio o se fossero protagoniste del loro wurstel di cotone, nanainanananainanana nananaaaa.
Poi c’è chi si fermava solo alla parte demenziale restando su uno dei livelli forniti e chi capiva che per dire quelle cose e utilizzarle per costruire storie e situazioni assurde, innanzitutto occorreva conoscerle. Ecco perché, al netto dell’importanza musicale in sé, Italian Rum Casusu Cykti, per quel che mi riguarda, ha forgiato la mia forma mentis e quella di milioni di ragazzini del ’92. Ha originato modi dire e definizioni. Ha introdotto parole nel linguaggio comune utilizzate anche inconsapevolmente da chi ne ignora la paternità. Quel disco lì da solo.
Ciò che Eelst avevano creato prima – e che emerse trainato da IRCC – e ciò che combinarono dopo è storia nota, ma quel disco, per almeno un paio di generazioni, arrivando in quegli anni e a quelle età, potendo viverlo “in diretta”, ha scoperchiato una botola con dentro un mondo sconosciuto, in cui ci siamo immersi e da cui non usciremo mai più, perché no, non esci più. Dove poter ridere in quel modo “lì”, che non è più alto o più baso, ma laterale. Cioè è proprio un’altra cosa. Dove poter guardarci e metterci le mani in faccia come a dire Non è possibile, ascoltando una loro canzone nuova, senza doverci specificare “cosa” non sia possibile, perché ci guardiamo e ci siam capiti, senza corporativismi di appartenenza, perché ci stiamo in mezzo ali altri, eccome, ma tra “noi” ci annusiamo lontano un chilometro e ci capiamo su una frequenza inaccessibile, per forza. In cui poter applicare quei meccanismi mentali a tutto quello che ti circonda perché Italyan Rum Casusu Cikti ci ha allenato la mente a funzionare in modo diverso, ci ha presi ragazzini e ci ha vaccinati in tempo utile dal piattume e dalla banalità, ci ha insegnato che si può ridere di tutto, proprio tutto, se lo si guarda in quel modo “lì”.
Un mondo dove poterci riconoscere fra noi disadattati mancati per un soffio, solo grazie a una mucca con le gambe.
E ora scusate, ma devo andare a prendere mio padre che è rimasto chiuso nell’autolavaggio.
 italyanrum

Vi racconto “È più comodo se dormi da me” di Diego Esposito 


C’è un ragazzo sui trent’anni che apre una finestra cigolante in una stanza che sa di chiuso. Fuori sta andando in onda una gran bella giornata e quella stanza ha bisogno di saperlo. Così, a poco a poco, l’aria stantia si fa pulita e morbida, come se ogni sua molecola fosse lavata a mano da migliaia di lavandaie invisibili con in mano una saponetta fatta in casa, quelle che si usavano una volta, quando a fare il bucato si andava al fiume.

Ecco cosa succede quando si preme play e il lettore ha in canna “E’ più comodo se dormi da me” di Diego Esposito che parte proprio col brano “In una stanza”. E ci si trova lì dentro con lui e le sue parole, ma dopo un po’ si inizia a stare stretti perché loro, le parole, “sono più di un milione”. E allora quella finestra aperta serve anche a farle uscire fuori. E a noi non resta che seguirle, presi per mano dal loro legittimo proprietario, curioso quanto noi di vedere dove vanno a finire. Quindi si parte.

La prima tappa è “sulla costa ovest dell’Irlanda con l’America dall’altra sponda”, cullati da un sei/ottavi in legno grezzo dalle cui fessure si infila qua e là un sax, troviamo incredibilmente la Toscana, cioè le radici e il bisogno di trovarle, ma a debita distanza dall’albero. E il dialogo con l’amico in Irlanda sfocia in un ritornello che si scioglie in bocca e si inchioda alla mente con una naturalezza disarmante.

E’ tempo di virare netti verso un “Vecchio eliporto” dismesso. Al sicuro da tutto e tutti, facciamo l’amore e poi balliamo, tanto qui nessuno ci disturberà. Nessuno ci minaccerà. Nessuna convenzione ritrita, nessuna apparenza, niente: in questa zona franca solo gambe che se la ballano e corpi che si scrollano di dosso un po’ di polvere. E allora serve un ritmo ossessivo e un ritornello che sa di preghiera pagana.

Tutte le tappe di questa passeggiata vengono raccontate con carrellate di immagini, a volte improvvise come pennellate fugaci su una tela, necessarie, essenziali. Urgenti.

Ed eccoci di nuovo in una stanza con due ragazzi, bisogni di fuga nell’aria, roba chiusa dentro gli occhi, una bottiglia per ammorbidire le serrature. E un invito appoggiato su un ritornello immediato perché deve consegnarti quella proposta nel modo più veloce possibile: ti porto dove desideri, ma se vuoi c’è un posto che non mostro a nessuno. E’ dove nascono le mie parole, “Le parole quando vanno da sé”. Mentre decidi, visto che si è fatta una certa, “è più comodo se dormi da me”. Una seconda proposta, talmente semplice da risultare di una potenza emotiva inaudita e che non a caso dà il titolo a tutto il percorso perché il filo conduttore  a questo punto è chiarissimo ed è proprio questo: la potenza della semplicità.

“Come fosse primavera” arriva a metà strada e suona un po’ come una pausa. Diego ci lascia la mano, si siede e scrive una lettera “a porta spalancata” a chi sa lui. Anche qui immagini che arrivano per conto loro e che il destinatario riceverà senza filtri né un motivo apparente, solo perché sappia che stasera è qui con lui ed era urgente farglielo sapere.

Si riparte forte con “Fisica quantistica” in quella che possiamo chiamare la seconda incursione di Mannarino in una strada guidata da Ivan Graziani per la capacità incredibile di affrescare le storie e da Pierangelo Bertoli per la spudoratezza con cui si usano semplicità e positività per andare a fondo dentro sé stessi, facendo cartastraccia dell’equazione “introspezione = tristezza” tassativamente in linguaggio forbito e accordi in minore. Anche qui c’è un’assenza stavolta sublimata in una ballata forsennata.

E’ il momento di far visita a un vecchio amico e quindi eccoci in una spiaggia perché l’amico in questione é il mare “in persona”. Diego ci fa cenno di metterci in un angolo e aspettare perché lui e l’amico devono dirsi un po’ di cose. Gli deve raccontare una storia in particolare su Lorenzo che non ce l’ha proprio fatta a non partire per sempre. E fa male, malissimo. E il male è talmente grande che l’unico in grado di contenerlo è soltanto il mare. E allora stiamo in disparte, in silenzio, e lasciamo che Diego gli racconti tutto. Il mare ascolta e sa esattamente con quale sguardo farlo.

“Canzone” è un altro dialogo a cui però possiamo assistere con meno discrezione, anzi, viene quasi da reggere il moccolo e poi andarci a bere qualcosa perché non è esattamente finita benissimo, “…tu sei come una canzone che non riesco ad ascoltare”. Peccato perché si stava bene, ma se non ci si incastra, a un certo punto anche amen.

L’ultima tappa della nostra passeggiata ci porta a spiare “Chi festeggia”, con un arpeggio delicato che sembra una filastrocca per bambini, perché sono di nuovo immagini dell’infanzia quelle che Diego proietta. E il ritornello è una preghiera rivolta a chi “ride dalla cucina”, perché resti dentro, dovunque vada, qualunque cosa accada, “anche quando cambio fuori e dentro resto uguale”, “quando non so cosa dire e non so cosa fare”. Tu resta qui dentro a guidarmi per sempre, ché sennò, fidati, è un gran casino. 

E siamo tornati al punto di partenza. A quella stanza da cui eravamo partiti dietro quel milione di parole. In quella stanza che ora sa di pulito. Con negli occhi, nel naso e tra i capelli quei posti, quelle storie, quelle strade, quei volti. Con un senso di pace.

E di gratitudine verso chi ti ha tenuto la mano per tutto il tragitto. 

Con la voglia di rifarlo di nuovo, il prima possibile.

Questa Supercoppa qua

​Non è Manchester, è Doha.

Non è Shevchenko, è un croato coi brufoli di nome Mario.
Non è Paolo Maldini, è Ignazio Abate.
Non è la Champions League, è la Supercoppa italiana.
E anch’io non ho ventidue anni.
E la nonna Ivana non salta in cortile come impazzita.
Era lei che a ogni trofeo mi diceva sempre “Ricordati che io li ho visti in serie B e quando vincevano ero contenta uguale”. E me lo diceva coi lucciconi. Me lo diceva dentro.
Eccolo lì il punto. Eccolo il nocciolo che in pochi colgono: gioire stasera non è accontentarsi. Gioire stasera è gioire e basta. Tanto quanto si faceva per le Champions League.
Perché questa È una Champions. La Champions di questo Milan qua. La Champions di questi anni qua.
Di questi ragazzini qua che si commuovono e questi gregari qua che si ammazzano di fatica.
Di questo uomo qua di quasi trentasei anni che scrive queste parole qua.
Di questa Nonna immortale che stasera avrebbe tenuto in mano le forbici durante tutta la partita, per toccare ferro. E che poi avrebbe accarezzato il televisore sull’intervista a Gigio Donnarumma e poi estratto un medio quando hanno inquadrato Nedved.
Di questa Nonna che stasera sarà “contenta uguale”. Ovunque sia.

E allora, per quel che mi riguarda, “questa Champions qua” è tutta per te Nonna Ivana.
E se non è la più bella di tutte, è la più bella di questa sera qua.
Ed è perfetto così.

While My Guitar Gentiloni Weeps

“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” (Morgan Freeman)

Stavo riflettendo sulla scelta di Mattarella che ha optato per Paolo Gentiloni come traghettatore verso le prossime elezioni. 

Penso si sia tutti d’accordo che senza governo non si possa stare, specie con paesi interi rasi al suolo di fresco e legge elettorale da definire, oltre all’ordinaria amministrazione. Pertanto qualcuno andava pur nominato, sebbene a scadenza medio-breve. 

Oh. Ecco, la scelta ricaduta su Gentiloni mi ha immediatamente suscitato tre sensazioni contemporanee:

Preoccupazione

Ilarità

Speranza

Perché uno dice: Sergione – che mi sembra uno che un minimo di coscienza per il ruolo che ricopre ce l’abbia – si è consultato per giorni con chiunque passasse per caso dal Quirinale e con a disposizione quasi mille individui, ha sancito che Paolo Gentiloni è The Man.

Cioè uno che:

– nel 2006 da ministro delle comunicazioni propone una riforma delle tv: decreto bocciato;

– nel 2007 propone una riforma della Rai: riforma mai attuata;

– nello stesso anno scrive un disegno di legge per regolamentare l’internèt: disegno di legge bocciato;

– nel 2013 si presenta alle primarie per scegliere il candidato sindaco del PD per Roma: arriva terzo (!) dietro Ignazio Marino (!!) e David Sassoli (!!!);

– nel 2014 viene nominato ministro degli esteri (e solo dopo le dimissioni della Mogherini, ma vabbè) et voilà: caso Marò e caso Regeni.

E soltanto andando praticamente a memoria.
Pertanto, non Gentiloni in sé, ma la scelta ricaduta su Gentiloni, allo stesso tempo:

mi preoccupa perché “minchia oh, chissà gli altri”;

mi fa molto ridere perché me lo immagino tipo Alberto Cavasin CT della Nazionale;

– infine mi dà tantissima speranza per il mio futuro, tipo: “a ‘sto punto vai avanti così, continua con coerenza a fallire TUTTO che un giorno minghia evvediché ti danno un paese in mano”.

Quindi, passate le prime due fasi, la terza impone di erigere Paolo Gentiloni a guru assoluto di noi creativi frustrati, sottopagati o proprio non pagati. Noi protestati dalle banche. Noi padri e madri imbarazzanti. Noi pluriripetenti col diploma preso a minacce. Noi calciatori, ballerine, sciatori tristi come il bollito. Noi amatori rapidissimi e amatrici “a 4 di spade”. Noi fidanzati distratti e noi coniugi assenti. 
Noi tutti falliti del mondo ti adoriamo oh Paolo Gentiloni, nostra stella polare nel buio della nostra autostima.

E ti osanniamo a gran voce al grido: KEEPONFAIL!!!

Le consultazioni del 10 dicembre (quello che nessuno vi dirà)

Le consultazioni del 10 dicembre (quello che nessuno vi dirà)

Ieri al palazzo del Quirinale il presidente Sergio Mattarella ha incontrato le delegazioni delle rappresentanze e dei gruppi parlamentari più piccoli.
Ecco l’agenda degli incontri previsti nella giornata di oggi, sempre presso il quadrilocale che Mattarella condivide con i tre coinquilini pugliesi Chevin Calogero Di Terlizzi (ventuno anni, di Bitonto), Raffaello Di Bitonto (trentasei anni, di Molfetta) e Gennifer Incrociata Di Molfetta (vent’anni, di Terlizzi), studenti fuorisede iscritti alla facoltà di Scienze delle Comunicazioni di Roma Tre.

Ore 10: sveglia e colazione. Gennifer Incrociata ha scordato di prendere il caffè al Pam. Mattarella le scrive sulla lavagnetta della cucina: “Gennifer, il caffè, porca troia. Sergio”, si prepara una tazza di acqua bollente con tre Ringo e poi va in bagno a fare il grossone e a lavarsi i denti. Nel frattempo si alza quel burlone di Raffaello che cancella dalla lavagnetta la parte “,…caffè, porca…”, si rulla un paglino di Virginia e poi torna a dormire.

Ore 10,20: suona alla porta il primo esponente in programma: la brunetta dei Ricchi e Poveri. Siccome Mattarella senza caffè non riesce a fare il grossone subito, inizia a urlare dal bagno “Qualcuno può andare ad aprire?”. Si alza Gennifer che arriva in cucina e legge la lavagnetta. Segue litigio furioso tra Gennifer e Sergio, con in mezzo la porta a vetri opachi del bagno. La brunetta inizia a spazientirsi e se ne va.

Ore 10,40: suona alla porta il secondo esponente della giornata: il biondo dei Ricchi e Poveri. Gennifer Incrociata ha chiamato il papà che si è fatto mettere in viva voce per poter parlare con Mattarella. Gennifer apre la porta del bagno quel tanto che basta per infilare la mano col telefono. Mattarella dice al signor Di Molfetta che non è stato lui a insultare la figlia e che comunque stamattina ha le consultazioni e non gli viene la popò e quindi anche basta. Il signor Di Molfetta riattacca minaccioso. Gennifer torna a dormire. Il biondo dei Ricchi e Poveri abbandona il pianerottolo e se ne va.

Ore 11,00: Mattarella esce dal bagno non completamente appagato e va ad aprire al terzo esponente in agenda: il baffo dei Ricchi e Poveri a cui offre una tazza di acqua bollente. Il baffo chiede se può andare  a stendersi un po’ sul divano. Mattarella annuisce. Partono ufficialmente le consultazioni.

Ore 11,20: arriva una delegazione di Rai Sport composta da Franco Bragagna, Luca Pisinicca, Stelvio Saltamerenda e Maurizio Colantoni. Mattarella si scusa per il disordine e approfitta per dire che la grafica dei programmi di Rai Sport fa sempre più schifo. Bragagna dice che è colpa di Ivana Vaccari. Ne nasce una rissa verbale tra gli stessi esponenti. Mattarella alza gli occhi come a dire “Che cazzo sono mai andato a dire”.

Ore 11,40: è il momento del rappresentante A.N.I.B. (Associazione Nani in Bikini), che è appunto un nano in bikini di nome Tatìno.

Ore 12: si alza di nuovo Raffaello, va in cucina, dice “Ciao Se’…”, scorreggia fortissimo e poi torna a letto.

Ore 12,40: è il momento della A.C.A.S.A.S. (Associazione Cantanti Arrivati Settimi a Sanremo), rappresentata da Natalino Otto (“Ci ciu cì – cantava un usignol”, 1956), Stefano Sani (“Complimenti”, 1983) e Stefano Picchi (“Generale kamikaze”, 2004).

Ore 13: pausa pranzo, ma in frigo c’è solo uno stracchino aperto e iridescente e un Saikebon Star (nudolini orientali al manzo). Mattarella decide di pranzare con una tazza di acqua bollente e tre Ringo.

Ore 13,04: arriva una delegazione degli ex terzini sinistri dell’Inter capeggiata da Macellari, Pistone e Pasquale. Gresko viene lasciato sul pianerottolo, legato alla ringhiera.

Ore 14,00: il baffo dei Ricchi e Poveri si alza dal divano ed esce. Gresko è ancora lì. Macellari, Pistone e Pasquale si sono calati dal balcone.

Ore 14,10: arrivano Cinzia Petrini e Luana Ravegnini in rappresentanza delle ex vallette di Corrado. Prima di entrare danno una carezza a Gresko.

Ore 14,20: Mattarella sente finalmente arrivare il grossone residuo e si chiude in bagno.

Ore 14,55: Gennifer Incrociata e Raffaello si alzano e si accorgono che Chevin Calogero non dà segni di vita. Si vestono, passano per la cucina ed escono.

Ore 15,15: Mattarella torna in cucina per proseguire le consultazione e trova scritto sulla lavagnetta “Siamo a fare la spesa. Vedi che forse Chevin Calogero è morto. Baci Raff e Genny .

Ore 15,20: arriva quello del gas a far la lettura del contatore. Mattarella non ricorda dove sia. Poi invece lo trova. 1683 è il consumo. Già che c’è si consulta anche con lui.

Ore 16,00: Mauro Serio ed Elisabetta Ferracini.

Ore 16,50: Gabriele D’Amora dei Soerba.

Ore 17: Maria Marea dei Pooh.

Ore 17,30: Sergio Mattarella va ad accertarsi della morte di Chevin Calogero.

Ore 17,35: arriva Beppe Fiorello che dovrà interpretare Chevin Calogero Di Terlizzi in una fiction Rai.

Ore 18: Gresko riesce a liberarsi, fugge, ma viene investito sulla Salaria da un Cambridge elaborato con a bordo Luca Sardella e Cesare Cadeo.Dal microchip sottocutaneo, i vigili intervenuti sul posto risalgono al legittimo proprietario: è Hector Cuper il quale, contattato telefonicamente, dà ordine di sopprimerlo.

Ore 23: arrivano da Terlizzi i genitori di Gennifer Incrociata e mentre il padre gonfia di botte Mattarella, la madre sale lo scatolo con le friselle, i taralli bolliti e la treccia del panificio in via Cialdini.

Campagna referendaria: ringraziamenti doverosi agli influencer presso loro stessi

Campagna referendaria: ringraziamenti doverosi agli influencer presso loro stessi

Volevo ringraziare di cuore moltissimi di voi per lo spettacolo esilarante e gratuito messo in scena durante questa campagna referendaria. 

E non mi riferisco ai partiti in causa che hanno estratto l’artiglieria pesante tra banner sul web, SMS, manifesti, comizi, ospitate tv, prime pagine dei quotidiani e strumentalizzazioni di vip fino alla profanazione di cadaveri spesso ancora caldi. Mi riferisco a voi. 

A voi che pensate di spostare consensi come foste rispettati costituzionalisti. 

A voi che vi accapigliate come i peggiori fondamentalisti religiosi. 

A voi che dai vostri profili urlate io voto Sì o io voto No davanti ai quattro gatti che vi seguono e vi sentite pure fighi se zia Pinuccia vi mette mi piace e tre mortifiga/mortediminchia commentano Concordo!!!1!!11! 😙😙😙.

A voi che voterete contro o a favore di una persona e non di una riforma, come fosse il televoto di un reality. Perché quello là, quello che non votava mai nessuno, ma che magicamente vinceva sempre, ci è riuscito perfettamente a trasformare il popolo in pubblico. E gli è stato faticoso come picchiare uno che caga. 

A voi che avete ridotto il confronto a tifo da stadio, cieco, sordo, ma purtroppo non muto. 

A voi che sapete ripetere a macchinetta solo concetti più o meno elaborati assorbiti passivamente dai detentori del vostro rispettivo guinzaglio.

A voi che sposate e divulgate le loro previsioni deliranti e tendenziose sugli scenari post voto.

A voi che che non prendete nemmeno in considerazione l’idea di usare il mezzo potentissimo che avete in mano per informarvi lucidamente e poi confrontarvi nel merito.

A voi che se non sapete una cosa ci pontificate addirittura sopra.

A voi che continuate a confondere politica con partitismo, ragionamenti con tirate di culo, opinioni con preconcetti. Referendum con elezioni.

A voi che brandite il partito preso del partito che vi ha preso, urlandovi più forte quello che volevate sentirvi dire. 

A voi disabili dell’ironia e cintura nera di egoriferimento sterile. 

A voi che quelli là vi rappresentano alla perfezione, anzi talvolta addirittura abbellendovi.

A voi che esattamente come me contate appena più di un cazzo a una vecchia, ma fate di tutto per spendere male anche quei pochi spicci. 

A voi che in questo post leggerete un endorsement a questo oppure a quello.

A tutti coloro che si sono rivisti in queste righe: grazie davvero. Siete stati uno spasso. ❤.

La scheda che domani riceverete al seggio.

Scenari plausibili post Referendum – (Guida pratica al voto consapevole)

Scenari plausibili post Referendum – (Guida pratica al voto consapevole)

(DIECI COSE CHE SUCCEDERANNO DOPO IL REFERENDUM SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 4 DICEMBRE 2016)

– SE VINCE IL SÌ:

1- Sparisce il Senato come lo conosciamo: al suo posto sorgerà uno store monomarca della Legea;

2- cento senatori verranno eliminati attraverso cento manches di roulette russa;

3- il Presidente della Repubblica sarà eletto da una commissione di gattini spaziali e dovrà sempre avere capelli lisci effetto seta;

4- il voto per approvare le leggi sarà velocissimo in quanto non si dovrà più votare: chiunque fra i parlamentari potrà alzarsi e legiferare qualunque cosa all’istante a patto che indossi una tuta della Legea;

5- gli interventi in aula saranno consentiti soltanto se pronunciati con l’alfabeto farfallino;

6- il numero minimo di firme per le proposte di legge di iniziativa popolare passeranno dalle attuali 500’000 a 800’000’000. Inoltre i banchetti per la raccolta firme saranno autorizzati solo tra le 3 e le 5 del mattino di ogni 29 febbraio e solo se posti su chiatte galleggianti al largo del golfo di Gaeta. Chiatte nel senso di ragazze corpulente;

7- i senatori non saranno più nominati dagli elettori, ma verranno decisi in maniera insindacabile da Luca Sardella;

8- i senatori dovranno essere scelti fra i rappresentanti degli enti locali, tra gli ex concorrenti di Sarabanda vedenti e tra gli uomini che si chiamano Attilio;

9- l’inno nazionale Fratelli d’Italia di Mameli & Novaro andrà in soffitta e verrà sostituito da una sua versione remix by Molella & Prezioso;

10- la Costituzione sarà ristampata come libro sonoro con tanti pulsanti colorati.

– SE VINCE IL NO:
1- Il presidente del consiglio rimetterà il proprio mandato nelle mani del capo dello stato il quale formerà subito un governo tecnico guidato da Cesare Cadeo;

2- fino a nuove elezioni, il premier ad interim si occuperà esclusivamente di modificare la legge elettorale, annaffiare i gladioli e aprire le finestre al mattino giusto per cambiare un po’ l’aria;

3- il senato resterà così com’è e ci sarà una rivolta dei dipendenti Legea che tenteranno un golpe barricandosi armati dentro palazzo Madama; 

4- il golpe verrà sventato da una task force di mercenari guidata da Federico Fazzuoli e Lorenzo Roata – entrambi in tuta Macron – che faranno irruzione al senato brandendo dei fustini di detersivo tradizionale;

5- alle elezioni vincerà nettamente il Movimeno 5 Stelle  e il presidente Mattarella darà l’incarico di formare il nuovo governo al loro candidato primo ministro: quello blu dei Power Ranger;

6- il primo provvedimento del nuovo esecutivo sarà l’attuazione della promessa grazie alla quale hanno stravinto le elezioni: l’obbligo di sostituire, nella lingua scritta e parlata, tutte le preposizioni semplici e articolate con la parola “punteruolo” pena una sanzione variabile tra la ciglia nell’occhio e la morte per ingestione di WC Net fosse biologiche;

7- il premier quello blu dei Power Ranger e la first lady quella rosa dei Power Ranger saranno ricevuti alla Casa Bianca e durante una appassionante battuta di caccia al nano cieco verranno stretti importanti accordi tra Italia e Usa, primo fra tutti la cessione agli Usa della provincia di Pesaro-Urbino (PU) in cambio di Nicolas Cage;

8- l’Italia uscirà dall’Europa per intraprendere una nuova indipendenza economica, politica e monetaria. La nuova valuta si chiamerà Antonietta: le banconote recheranno ognuna il volto di un componente del cast de La Casa nella Prateria, mentre le monete avranno tutte la faccia del maestro Pregadio;

9- l’inno nazionale Fratelli d’Italia di Mameli & Novaro andrà in soffitta e verrà sostituito dalla sigla de Il Pranzo è Servito;

10- alcuni marchigiani abiteranno in provincia di Nicolas Cage.

Giù le mani da Rocco Schiavone

C’è ‘sta moda delle serie. Allora, io non ho Sky perché sono povero come la dieta di un diabetico e non ho internet illimitato per fare lo splendido a scaricare, quindi le vostre Gomorra, Romanzo Criminale e serie ‘mmericane a me non m’hanno preso nemmeno di striscio. Né di streaming.

Poi all’improvviso arriva una roba che dà improvvisamente senso al canone Rai: Rocco Schiavone. Marco Giallini è monumentale qualunque parte interpreti. E ok. Le storie sono tratte dai romanzi di Antonio Manzini che sa indubbiamente il fatto suo e quindi a dialoghi e struttura stiamo più che a posto. E ok.

Ma c’è qualcosa di più. La frase migliore che mi viene per rendere l’idea è: Rocco Schiavone non sembra né una produzione Rai, né quasi una produzione italiana. Comunque non da tv generalista.

Finalmente una regia figa (Michele Soavi), una fotografia all’altezza e un montaggio eseguito senza machete. Un suono “vivo” e non posticcio, senza rumori di fondo scaricati da internet a cazzo o doppiaggi riparatori fuori sincro. Una colonna sonora parte integrante della narrazione. Personaggi delineati da sceneggiatori veri, anche quelli minori. Interpretazioni “incredibilmente credibili”, quindi bravo anche chi ha fatto i casting. Perfino gli stereotipi (indispensabili per una serie di genere) sono dosati e messi al posto e al tempo giusto.

Se vi siete persi i primi due episodi, andate su Rai Replay e trovate tutto.

Poi chissà se ci sarà un seguito.

Perché, neanche il tempo di gioire, che t’arrivano tre aborti andati male – al secolo: Quagliariello Gaetano, Giovanardi Carlo e Gasparri Maurizio – a tuonare verso la Rai, testuale, “Fermate questo scempio!”.

Lo scempio sarebbe un vicequestore – figlio della fantasia di un autore – che si fuma le canne. Continuiamo a confondere educazione e narrazione. Lo scopo di chi scrive storie è raccontare, porcaputtanamaialamaledetta.

Educare spetta alla scuola e alla famiglia. Dare il buon esempio spetta a chi ci rappresenta a qualunque livello.

Chi scrive storie ne deve essere esente. Basta alibi.

Se un ragazzino comincia a fumarsi le canne soltanto perché ha visto Rocco Schiavone significa che è un demente generato da due dementi che non gli hanno saputo o voluto insegnare il senso critico e l’autodeterminazione.

Come se uno sterminasse la famiglia dopo aver visto, che ne so, “Venerdì 13”. O addentasse bagnanti dopo aver visto “Lo squalo”. Tipo io da piccolo guardavo le tribune politiche degli anni ’80, ma non mi sono mai affiliato a nessuna associazione a delinquere.

Giù le mani da Rocco Schiavone, dalle sue canne (che per altro sono pure quelle buone con la Maria e non col fumo), dai suoi difetti, dai suoi limiti, dai suoi peccati e dalle sue contraddizioni. Che non a caso, narrati così, ne fanno un personaggio finalmente credibile. Umano.

Di certo più vero di tre palle al piede con l’alito che sa di sacrestia e le capacità intellettive di un tetto in eternit.

rocco-schiavone

A spasso con Bighi

Moltissimi di voi si trovano qui ad assistere quotidianamente alle mie schizofreniche necessità espressive per un motivo: la lettera che scrissi a Bighi, il mio gatto morto due anni, ventotto giorni e sette ore fa.
Quella lettera, tra Facebook e blog, mi ha portato un mare di affetto, nuove amicizie, qualche migliaio di messaggi a cui ancora oggi tento faticosamente di rispondere anche solo con un grazie, un’enormità di storie restituite da chi ha voluto “sdebitarsi” raccontandomi un pezzo della propria vita con un gatto, qualche testa di cazzo, empatia, inevitabile (e quindi comprensibile) retorica e tanto altro ancora. Tutto inaspettato, quanto meno nelle dimensioni. E tutto non voluto. Io volevo solo salutarlo, scrivere a lui e poi far sì che altri leggessero nella mia ingenua quanto salvifica convinzione che finché qualcuno leggerà di lui, fin quando qualcuno lo nominerà o lo proietterà nella mente animando quelle parole, lui non morirà del tutto.
Sono forme di resistenza e resilienza in contemporanea, gli stratagemmi con cui attutiamo i lutti. Il mio è scrivere.

Bene. Stasera sono andato a vedere il film “A spasso con Bob”. Il libro da cui è tratto è del 2012 e quando uscì non lo considerai perché mi puzzò da cagata. Dopo la morte di Bighi invece lo scacciai terrorizzato dai tanti “Dovresti leggerlo” pronunciati da alcuni che mi conoscono bene. Feci bene a non leggerlo, allora. Il film è arrivato con tempi che credevo ormai maturi. Credevo. Ma ciò che ho visto non era calcolabile.
La storia è praticamente la fotocopia della nostra con qualche dettaglio non combaciante, ma comunque molto assonante. Alcune scene, alcune battute, mi hanno letteralmente sconvolto per la perfetta simmetria.
Ho rivisto noi, per la prima volta fuori dalla gigantesca sala dei miei ricordi. Non che avessi bisogno di rinfrescare la memoria, ma vi assicuro che vedersi narrati in modo così netto stravolge.
Non posso giudicare il film con lucidità, perdonatemi. Posso solo prendere atto che la storia che racconta è realmente accaduta almeno a due uomini. E uno sono io.
Un gatto arrivato dal nulla che salva un “relitto emotivo” che scrive canzoni, prendendosene cura nel chiuso di un appartamento, dove per lunghi periodi aveva accesso solo lui. Con atteggiamenti più umanoidi che felini. Sulle spalle per strada, al guinzaglio in piazza. A farsi coccolare e fotografare da passanti e turisti. A compatire i cani che impazzivano guardandolo. E incantarsi appagato nel guardare quel relitto cantare e suonare una chitarra. Seduti sul pavimento a parlare. A fargli da compagnia e da cura. Da ancora e da guida.
Bighi mi ha salvato la vita.
Rivedere come e quando, seduto sulla poltrona di un cinema, è stato incredibile, devastante. E meraviglioso.

Bighi non è sottoterra in giardino e nemmeno su nessun ponte arcobaleno.
Bighi è sul davanzale che aspetta di sentire il mio doppio fischio in lontananza.
Che aspetta che torni a casa.

bighitattoo

Chiedi chi eran gli Oasis

Bon. Han fatto questo documentario sugli Oasis e sono corso a vederlo.

Bello. Fatto bene. Pieno di materiale inedito, aneddoti, backstage non artefatti, non agiografico e, grazie a tutti i santi, senza la ormai insopportabile tecnica dell’alternanza tra immagini live e interviste con l’intervistato che guarda l’uomo invisibile di fianco all’obiettivo della camera. I protagonisti c’erano tutti, ma solo con la voce messa sulle immagini o sulle animazioni. 

Sulla sua struttura e sul suo contenuto mi hanno colpito altre due cose:

1- dei diciotto anni di attività (o dei quindici tra il primo e l’ultimo album) il documentario sta per due ore sui due anni e mezzo trascorsi tra “Non siamo nessuno” e “Siamo i proprietari del mondo”;

2- non vengono MAI nemmeno nominati i Blur.

Però non era mica solo questo che avevo voglia di dire.
In terza media c’era questa mia compagna che un giorno salta su e fa “Momama che figo il cantante degli Oasis” e lo pronunciò così come si scrive. E tutte le altre ragazze “Chi?!” e lei tirò fuori Cioè e lo mostrò a tutte e tutte emisero quegli urletti tipici delle neo menarcate. Assistendo alla scena e sbirciando la foto su Cioè mi accorsi che quel tizio proprio non lo avevo mai visto né sentito nominare né, soprattutto, mai sentito cantare.
Non so bene per quale motivo preciso, ma quella faccia da cazzo come poche mi suggerì che non si trattava di una boy band per le succitate imberbi. Io dovevo sapere.

Allora. Il piano era sempre lo stesso: cassetta vergine nella piastra Rec dello stereo e stolkeraggio radiofonico + ore con gli occhi pallati su Video Music (ché Mtv Italia ancora nisba), il tutto spesso simultaneamente. E inutilmente.

Eravamo lì a cavallo tra il ’94 e il ’95 e, nemmeno il tempo di mettere insieme quattro canzoni “scaricate” dalle radio – tagliate, sporche, gracchianti, con stacchetti e voci degli speaker all’inizio e alla fine – per poi eventualmente comprare il cd dopo attenta analisi sul walkman a cassetta, che uscì, anzi, fu sganciato da un B-52 ed esplose in tutte le terre emerse, What’s the Story Morning Glory?. 

Bon. A quel punto il preventivo traffico di cassette pirata fu saltato à la Fiona May e andai dritto da Nannini ad acquistare in coppia What’s the Story e il precedente Definitely Maybe.

Fino a quel momento, fatta eccezione per 883, Ligabue, Green Day e Cranberries, la mia fruizione della musica andava esclusivamente a ritroso. Una disperata e furiosa retromarcia a recuperare ciò che l’anagrafe mi aveva impedito di vivere in diretta o al massimo concesso di sfiorare distrattamente da bambino, tra band anglofone e cantautori italiani. 

Ecco: gli Oasis furono la mia prima vera cotta musicale la cui potenza fu amplificata dal fattore contemporaneità. Cioè, tipo, li ho visti nascere, li sto vedendo crescere, li vedrò morire. L’orgoglio e l’adrenalina che si provano quando si ha la chiara sensazione di essere al centro di un libro di storia. Sentire tuo qualcosa che non accade a te perché E’ tuo tanto quanto loro. Insomma, pur con orecchie acerbe, “Oh, questa fra cinquant’anni se la ricorderanno ancora tutti” lo dissi tra me e me su un numero di canzoni maggiore di uno, il ché significa che sarà anche la band che l’ha creata ad essere ricordata in eterno. Ed è ancora oggi, le rare volte che mi capita, sia musica, cinema, tv o sport, una sensazione che mi mette in pace con l’universo.

A quel punto si formarono le due fazioni, ché sennò siam mica contenti: da una parte gli Oasis, dall’altra i Blur.
“Non ascolto gli Oasis perché quei due là son troppo sboroni, ascolto i Blur”. Che è un po’ come dire non mi sego pensando a Beyoncé perché ha l’alluce valgo, mi sego pensando a Janira Majello”.

A me ‘sti ragionamenti mi hanno sempre lasciato perplesso. Che cazzo te ne frega se si picchiano, sfasciano stanze d’albergo, s’ammazzano di canne e metanfetamina o delirano onnipotenza? Sono delle rock star non i tuoi zii di Fiorenzuola, per dio. A me principalmente frega delle canzoni che scrivono. E amo quando a comportarsi da rock star è davvero una rock star e non un Kekkonen dei Modà a caso. Loro possono eccheccazzo. Forse la penso così perché la mia è invidia buona. La mia. 

Vabbé, comunque dopo il documentario #Supersonic sono uscito con vecchie certezze ulteriormente rafforzate e cioè: gli Oasis sono esistiti e hanno scritto una vagonata di pezzi eterni. Gli Oasis resteranno sempre dei fottuti fighi.Io c’ero e son felice.

P.S. Comunque facciamo una cosa, fra cinquant’anni ci risentiamo e facciamo sentire i primi due accordi di Wonderwall, Don’t Look Back in Anger e Champagne Supernova a dieci persone a caso sparse per il mondo. Poi facciamo la stessa cosa con Country House, Girls and Boys e Song 2.Poi facciamo che ce la sukate tutti. A me e ai fratelli oasi mentre noi cantiamo a squarciagola

AND SOOOOOOOOOO SALLY CAN WAIT, SHE KNOWS IT’S TOO LATE AS WE’RE WALKING ON BY

HER SOOOOOOOOOUL SLIDES AWAY, BUT DON’T LOOK BACK IN ANGER I HEARD YOU SAY!!!